In un provvedimento sul Pnrr, il decreto-legge 36 del 30 aprile, è comparso un fondo sui crimini commessi dalla Germania contro gli italiani, durante la seconda guerra mondiale, e “terzogiornale” ha tenuto d’occhio la novità (vedi qui). A inserire l’iniziativa in un tipico atto-omnibus, è stato il governo Draghi, proprio il giorno dopo la presentazione, da parte della Germania, di un nuovo ricorso alla Corte internazionale di giustizia, all’Aia: un ricorso contro l’Italia, sempre per non pagare, proprio come Berlino aveva fatto già nel 2008. Contemporaneamente, il governo ha fermato qualsiasi esecuzione su beni dello Stato tedesco in Italia.
Si sta parlando della battaglia legale cominciata dopo la riunificazione tedesca, con la causa civile di un deportato, Luigi Ferrini. La Cassazione, nel 2004, si pronunciò a sezioni unite per i risarcimenti; molte vertenze sono andate avanti, altre vittime si sono mosse, ed è stata coinvolta la Corte costituzionale. Proprio la Consulta ha stabilito principi sacrosanti, così all’avanguardia da diventare punti di riferimento anche all’estero.
Per ora gli aventi diritto (sono i pochi superstiti ancora vivi e i tanti eredi di quelli scomparsi), sia per stragi sia per deportazioni, hanno assistito al progresso del lavoro giudiziario italiano, parecchio contrastato. Insomma: hanno visto belle sentenze, ma non hanno visto i risarcimenti.
Il decreto di aprile ha istituito un fondo con cinquantacinque milioni di euro, scaglionati dal 2023 al 2026. Attenzione: il denaro è italiano, non tedesco, e viene da altri due fondi (esigenze indifferibili e interventi strutturali di politica economica). L’inserimento in un testo sul Pnrr è fuorviante, a prima lettura; il Piano non c’entra. Perché questa collocazione? Basta nominare il Pnrr e si sente aria di Europa e solidarietà internazionale. E poi si diceva che il governo “dei migliori” era tecnico e non politico.
Le vittime hanno un diritto al risarcimento, vero e non soggetto a prescrizione, ma il governo Draghi ha previsto solo un “ristoro”, cioè un po’ di denaro. Quanto? Dipenderà dalla quantità delle domande e da come saranno messe in fila e valutate. Certamente molto meno del dovuto. Un curioso tipo di “bonus”, scarso e tardivo.
È richiesta la pendenza di una causa civile – come se i diritti, dopo tre quarti di secolo, fossero ancora in dubbio –, o almeno il suo inizio sollecito. Col decreto si voleva che i creditori cominciassero le cause in trenta giorni. Con la legge di conversione si è ottenuto solo un allungamento del termine: sei mesi. Eppure, oltre a una petizione alle Camere per togliere di mezzo tutta l’operazione e ottenere risarcimenti veri, c’erano state altre prese di posizione dell’Anfim, dell’Anei, dell’Ucei, di associazioni nazionali e locali. Invece, con la conversione, le regole sono state persino inasprite: se le vittime in passato hanno già ricevuto qualcosa (riguarda pochi, fra i deportati), va detratto. Ma c’è di peggio. Per mettere in moto l’erogazione, ci vuole un decreto interministeriale (Economia, Esteri e Giustizia): andava fatto entro ottobre e il termine è scaduto. Eppure anche Marta Cartabia, al forum Ambrosetti, aveva detto: “Noi concluderemo gli impegni che avremo con la giustizia prima di lasciare questa esperienza di governo”. Si può riaprire il termine o comunque intervenire, ma non si fa e non se ne parla.
Il governo Meloni ha dimenticato l’adempimento? Difficile crederlo: i funzionari dei dicasteri e della presidenza non cambiano così alla svelta. Il nuovo governo, rispetto a Draghi, ha un segno politico più avverso alle vittime del nazifascismo e quindi le ha lasciate per strada? Insomma, l’ha fatto apposta? Di certo il “ristoro” non è un’invenzione del partito con la fiamma del Movimento sociale italiano, ma il punto di arrivo di mire, tendenze e voci già coltivate e circolate negli anni passati.
Sì, perché la debolezza con Berlino, in fatto di punizione dei responsabili e anche di risarcimenti, c’è da decenni. Il momento più vistoso, in questo secolo, è stato nel 2008, col vertice italo-tedesco di Trieste: al governo c’era Berlusconi, fra i ministri Meloni. A Trieste il presidente del Consiglio – le style c’est l’homme – fece il famoso “cucù” ad Angela Merkel e, per piaggeria e comodità, si rise parlando solo di quello. Predecessori e successori di Berlusconi non hanno fatto meglio; una parte del mondo giuridico ha difeso le persone, un’altra si è piegata al conformismo e alla ragion di Stato. A ciascuno le sue responsabilità. Quanto a Fratelli d’Italia, che ha preso due parole dall’inno di Mameli, ripete “prima gli italiani” e dice che è finita “la pacchia”, c’è da vedere come si comporta quando si tratta della Germania e delle vittime. Qui la pacchia è tedesca, e ci vuole ottimismo per pensare che gli eredi del Msi e di Almirante vogliano giustizia vera sui crimini del nazifascismo. Quanto alle altre forze al governo, c’erano anche prima.
A questo punto, c’è un fondo, nero su bianco in una legge; ma non ci sono i dettagli operativi e quindi neanche i pagamenti. In questi mesi molti hanno iniziato le cause, dando anticipi agli avvocati. Per ora quello che hanno ricevuto sembrava poco arrosto e invece è fumo.
L’“armadio della vergogna” – il deposito di fascicoli sulle stragi custodito negli uffici della giustizia militare, e trascurato per mezzo secolo – adesso non è più tenuto da parte. La questione non è neanche affidata alla giustizia castrense; il potere esecutivo e quello legislativo sono intervenuti, sono entrati a gamba tesa nella vertenza passando dalla gazzetta ufficiale. La vergogna fa il cucù, il segreto è diventato spettacolo. L’“armadio”, ora, somiglia a una vetrina fuori moda: è bene in vista ma ci si passa davanti con un’occhiata distratta.
A parte la seconda guerra mondiale, il peso e l’urgenza della questione sono confermati dal fatto che l’Ucraina, a febbraio, si è rivolta proprio alla stessa Corte internazionale, all’Aia, contro la Russia. E comunque la responsabilità per i delitti di Stato, anche con i risarcimenti economici, riguarda tutte le violenze, di massa o individuali, anche recenti, da Khashoggi a Daphne Caruana Galizia, da Andrea Rocchelli a Giulio Regeni.
A proposito. Si nota, in questi giorni, il miglioramento dei rapporti fra Italia ed Egitto. Per Regeni non è ancora cominciato il dibattimento, principalmente perché manca la collaborazione egiziana. Gli imputati sono individuati, ci vogliono gli indirizzi. Un vero impegno governativo può fare la differenza; la presidente del Consiglio fa intendere di avere ricevuto rassicurazioni (che sembrano simili a quelle di prima). C’è di mezzo l’impunità dei crimini del potere, che non conosce tempo né confini, se non quando gli fanno comodo.