di Rino Genovese
In un incontro online organizzato di recente dalla nostra amica Maria Borio, Dacia Maraini esprimeva la seguente opinione: non può esservi romanzo “impegnato” perché la letteratura è qualcosa che va “più in profondità” rispetto a un giudizio su questo o quel tema politicamente all’ordine del giorno: presa di posizione che, esulando dal campo letterario, il singolo scrittore affermato può però assumere pubblicamente come manifestazione di cittadinanza in virtù del prestigio acquisito con le proprie opere. Si può essere impegnati, insomma, in base alla fama raggiunta. Il che fu sostenuto una volta anche da Sartre – quando uno firma un appello o un manifesto, lo fa perché ha un nome che gli consente di avere una certa eco –, pur non esaurendo affatto la questione di un’arte e di una letteratura impegnate, nemmeno secondo Sartre, essendo in fondo un caso che si sia avuto o no quel successo indispensabile per essere ascoltati, cioè per stare nel circuito dei mass media. La questione dell’esercitare o no un’influenza è altra cosa da quella di una poetica dell’engagement, la cui efficacia, come accade per tutte le poetiche, andrebbe valutata piuttosto all’interno dell’opera.