Nota sulla pandemia

Branko Milanovicdi Nicolò Bellanca

In articolo esemplare per lucidità di pensiero e chiarezza espositiva, Branko Milanovic argomenta che l’attuale pandemia non consente di effettuare previsioni economiche. Oltre ad avere natura globale, la pandemia è un fenomeno indeterminato e incontrollabile.

“Nessuno sa quando la pandemia finirà, come influenzerà i diversi paesi, e persino se pensare a una fine chiara e improvvisa della pandemia abbia addirittura senso. Di fatto, potremmo vivere per anni con politiche di stop-and-go, dove i movimenti per aprire l’economia sono seguiti da riacutizzazioni dell’infezione e poi da nuove chiusure e blocchi. Non abbiamo idea non solo di quali paesi e continenti saranno prossimamente colpiti dalla pandemia e se ci sarà una seconda ondata, ma neanche possiamo prevedere con quale successo i singoli paesi la sapranno contenere. Nessuno avrebbe previsto che un paese con le più alte spese sanitarie procapite al mondo, e con centinaia di università che esibiscono dipartimenti di sanità pubblica e pubblicano probabilmente migliaia di ricerche scientifiche all’anno, avrebbe completamente fallito nel controllo della pandemia e realizzato il più alto numero dei casi e delle vittime. Similmente, molto pochi avrebbero previsto che il Regno Unito, con il suo leggendario Servizio Sanitario Nazionale, sarebbe stato il primo in Europa come numero di morti. O che il modestamente benestante Vietnam avrebbe avuto zero morti dalla pandemia”i.

Se riconosciamo i due caratteri appena menzionati – natura globale e incontrollabile – della pandemia, come possiamo spiegarne la genesi? Due mi sembrano gli schemi principali. Il primo la concepisce come una catastrofe ecologica, basata sull’intreccio tra depauperamento ambientale, globalizzazione capitalista e promiscuità di animali e umani. I virus causano malattie soltanto quando muta il loro rapporto con la popolazione ospite, animale o umana. Ebbene, il riscaldamento climatico rende più forti e persistenti alcuni agenti patogeni; l’urbanizzazione di zone selvagge, nonché la caccia e il consumo di fauna selvatica, avvicinano l’uomo ad animali portatori di potenziali infezioni; l’ammassarsi di grandi quantità di animali negli allevamenti di tipo iper-intensivo, con difese immunitarie indebolite dalle condizioni igieniche e alimentari, può incubare malattie; gli ecosistemi locali vengono spesso sconvolti dall’espansione dell’industria agroalimentare; le migrazioni e il turismo globale creano le condizioni ideali per la diffusione del contagio in ogni angolo del pianeta. Questi intrecci rendono plausibile l’idea di un’antropogenesi, ossia di una causazione umana, delle malattie provocate da zoonosi.

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Quale capitalismo per quale Europa: su Euro al capolinea?

di Nicolò Bellanca

Il senso di questa noterella consiste nel dialogare con Bellofiore, Garibaldo e Mortágua1. I temi che essi trattano sono della massima rilevanza e del massimo impegno. Non su tutti ritengo di avere, al momento, una posizione intellettualmente e politicamente definita2. Mi scuso, quindi, se tralascerò alcune parti del loro libro. Il punto di partenza del confronto è inevitabile: gli autori s’interrogano sulla natura del capitalismo contemporaneo. A loro avviso si tratta «di un money manager capitalism, un capitalismo dei gestori finanziari, che è stato costruito sulla centralizzazione senza concentrazione, su nuove forme di governo societario, sulla concorrenza distruttiva, sull’aumento dei prezzi delle attività finanziarie, e sul consumo a debito» (p.11); a questi tratti essi aggiungono, dal punto di vista delle classi subalterne, «la sussunzione reale del lavoro alla finanza e al debito, […] la ‘traumatizzazione’ del lavoro, la precarizzazione universale» (p.131)3. Ho sempre trovato poco sensato compilare una recensione elencando le cose che un certo libro non dice. Questo perché tali cose sono, ovviamente, in numero infinito, ma anche perché, così procedendo, si evita comodamente di entrare nel merito di ciò che il libro afferma e argomenta. Nel caso in oggetto, tuttavia, i caratteri del capitalismo che gli autori richiamano possono essere soppesati soltanto in base a una concezione alternativa. Devo dunque elencare quello che a mio avviso manca, affinché il lettore possa riflettere e valutare.

Con la sinteticità di una manciata di tweet, ecco la mia pista di ricerca. Per comprendere il capitalismo contemporaneo, occorre (sebbene non basti) mettere a fuoco sette categorie teoriche: il surplus potenziale, il modo di potere capitalista, gli investimenti intangibili, la classe dominante dei manager, l’imperialismo, la Grande accelerazione e la fine del lavoro4.

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Le possibilità del futuro

Le possibilità del futuroPerché le persone scelgono di vivere in situazioni che esse stesse valutano negativamente e che provocano loro disagio e sofferenza? Perché accettano le regole e i comandi dettati da soggetti e organizzazioni con cui non sono in sintonia, e che spesso disprezzano?
In breve: perché le persone si rassegnano e obbediscono, anche quando non vorrebbero? Di fronte a questa domanda, il libro argomenta che ognuno affronta sempre soltanto i problemi che crede di poter risolvere. I modi con cui immaginiamo il mondo plasmano i valori e le preferenze, i vincoli e le aspettative che orientano le nostre azioni.

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Storia economica della felicità

3 maggio 2018, ore 15.00

Polo delle Scienze Sociali, via Pandette 9, Aula D6/106

Interverranno:

Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale

Stefano Bartolini, Università di Siena

Nicolò Bellanca, Università di Firenze

Moderatore: Renato Giannetti, Università di Firenze

Incontro patrocinato dal Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa e dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali

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