di Rino Genovese
I populismi mettono sotto stress le istituzioni democratiche, è cosa nota, ma il salto di qualità che si è prodotto nella giornata del 6 gennaio negli Stati Uniti è qualcosa che richiede un di più di riflessione. C’è un punto oltre il quale l’effervescenza anche violenta indotta nei sistemi politici dalla combinazione tra l’idoleggiamento di un capo (nel caso specifico Trump) e il costante sconvolgimento dei principi su cui si regge una democrazia – alternanza destra/sinistra in primo luogo, e rispetto dei risultati elettorali – diventa sovversione vera e propria. Il fenomeno Trump, lo si può dire ora con certezza, è stato questo: il passaggio, nella maggiore democrazia del mondo, da una vittoria elettorale risicata quattro anni fa (non si dimentichi che la pur debole candidata democratica aveva comunque preso più voti in cifra assoluta) a un movimento reazionario di massa entro cui riemerge con estrema evidenza il segno sempiterno del fascismo. Forte di un’ideologia, per quanto abborracciata, del tutto esplicita: basata sull’idea di un complotto delle élite mondiali progressiste e “pedofile” contro il presidente che avrebbe incarnato la rinascita del paese dopo gli anni di Obama; sul rinnovato senso di supremazia razziale collegabile al periodo buio, mai del tutto archiviato, del segregazionismo; sulla difesa protezionistica dell’economia americana da quella del resto del mondo, in primis da quella cinese; e infine sul culto delle armi, radicato da sempre nel paese dei cowboy. Questa miscela di elementi ideologici, e perfino fantastici, ha trovato il suo punto di caduta nella favola, raccontata da Trump già prima che le elezioni avessero luogo, dei brogli elettorali, di una vittoria fraudolenta da parte di Biden, complice una pandemia strumentalizzata o scatenata da quelle stesse élite mondiali che cospirano contro la grandezza degli Stati Uniti. Continua a leggere “Salto di qualità in America”