di Maria Borio
Difesa berlinese di Carlo Bordini, uscito per Sossella, è un libro che pone il lettore in una dimensione in cui tutto è inaspettato e che, senza voler trarre mai una morale, ci fa entrare in alcuni momenti cruciali della storia e della politica del Novecento. Siamo di fronte a un’autobiografia che ha anche il passo del romanzo e del saggio. Ci sono la vita e la psicologia di un uomo nato alle soglie dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale – Bordini è classe 1938 – e ci sono l’Italia e l’Europa degli anni Sessanta, degli anni Settanta, del Duemila. Il privato e il pubblico serpeggiano di pari passo, a volte si sovrappongono, a volte sono in contrasto. Una narrazione intima, subliminale si incastra sempre con una di superficie, collettiva. L’effetto è interessante. Il primo motivo è che la combinazione di queste due narrazioni rende Difesa berlinese anche un libro di poetica, in cui ci è consegnata una visione sulla vita e sul ruolo dell’intellettuale e del militante politico nel secondo Novecento. Questa visione è il risultato di un lavorio di diversi decenni. Come I costruttori di vulcani, la raccolta che racchiude le poesie di Bordini dal 1975 al 2010, anche Difesa berlinese riunisce prose precedenti: Memorie di un rivoluzionario timido (iniziato nel 1976 e pubblicato nel 2006), Gustavo. Una malattia mentale (prima versione scritta nella seconda metà degli anni Ottanta e pubblicato nel 2006) e Manuale di autodistruzione (scritto tra il 1993 e il 1994, pubblicato nel 1998) – il primo è un memoir in prima persona, il secondo potrebbe essere una sua versione narrativa per frammenti in terza persona, e il terzo è una specie di prontuario che, come un distillato sapienziale degli altri due, contiene delle massime di comportamento il cui tono può far pensare al libro dell’I-Ching.