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Un nuovo piano per il centro storico di Genova?
di Agostino Petrillo
Il centro storico di Genova è una realtà estremamente complessa per un insieme di ragioni materiali e simboliche: non è mai stato veramente chiaro dove inizi e dove finisca la città antica, e i confini non ne sono nettamente delineati nemmeno nell’immaginario degli stessi genovesi. Le demolizioni che si sono succedute negli ultimi due secoli hanno complicato ulteriormente il quadro che propone una città cresciuta per strati, in cui le epoche si sono sovrapposte in spazi ristretti, e le architetture si sono sviluppate spesso inglobando e ricostruendo quanto già esisteva in precedenza. Una città incalcolabilmente antica ma anche “stratificata”, dunque: il che non ha certo aiutato a determinare quali siano le parti di città da considerarsi “storiche”.
Le distruzioni del tessuto urbano sono state notevoli già nell’Ottocento, quando una parte del centro è stata completamente abbattuta, riedificata e riorientata per l’apertura di nuovi assi viari e per permettere l’irruzione di sistemi di trasporto moderni, ma sono proseguite pervicacemente anche nel Novecento fino al crescendo rappresentato dal folle piano regolatore del 1959 che, oltre a prevedere per Genova uno sviluppo demografico fino a sei milioni di abitanti, provvide anche a liquidare completamente un esteso quartiere antico, quello di Portoria, in cui c’erano edifici quattro-cinquecenteschi Al suo posto sorse una fantastica speculazione edilizia (zona Piccapietra), inno a un modernismo vacuo caratterizzato da orrendi edifici “razionalisti” ancora oggi, a distanza di sessant’anni dall’operazione, in buona parte semivuoti. Nuovamente nei Settanta e all’inizio degli anni Ottanta, si è operato con la medesima logica, considerando la città antica “zona degradata”. Sventrata la storica zona di via Madre di Dio, si sono costruiti palazzi di una qualità così modesta da necessitare di continui interventi di manutenzione ancora in corso d’opera, precocemente decadenti, tali da apparire vere e proprie “rovine del moderno”. Continua a leggere “Un nuovo piano per il centro storico di Genova?”
Lo spazio urbano tra socialità insorgente e barbarie
A proposito di Una città per tutti. Diritti, spazi, cittadinanza, a cura di Alessandra Criconia (Donzelli 2019)
Nella situazione estrema che stiamo vivendo, il concetto di spazio sociale di Lefebvre mostra una tragica attualità. Lo spazio urbano è sociale perché è o dovrebbe essere fonte di interazioni umane, ma lo è anche in senso negativo e deformato. Diventa allora l’espressione dei rapporti e delle gerarchie di potere del capitale, che si estroflettono nella disposizione delle strade, nelle divisioni tra centro e periferia, nel sorgere di muri virtuali e materiali. Comunque sia, esso implica sempre un’articolazione architettonica e urbanistica di relazioni sociali, la loro espressione. E quando una società entra in una crisi radicale ciò rimane vero: ma il modo in cui le parole e le cose spartiscono lo spazio esprime la disarticolazione e il vuoto di un ordine simbolico in disfacimento.
Leggiamo questa descrizione di Berlino nel 1932, di Siegfried Kracauer: «[…] Ora la crisi si vede a ogni angolo di strada […]. Non sono solo i grandi appartamenti ad essere vuoti, anche i caffè sono semivuoti nei giorni feriali […], le strade sono piene di mendicanti, una foresta di mendicanti che si fatica ad attraversare si è introdotta nella città e ricopre l’asfalto. La sera, nelle strade un tempo animate fino a tarda notte, regna una calma strana che ci interroga. Le persone si disperdono rapidamente, restano a casa o sono finite chi sa dove. Si direbbe che esse si rintanano come animali per essere soli con la loro miseria». Kracauer descrive qui uno spazio devastato dalla crisi economica, mentre noi potremmo dire di essere oggi investiti da un flagello naturale, di cui neanche i potenti del mondo sono direttamente responsabili. Ma chi potrebbe negare che la virulenza del contagio non dipenda in certa misura dal folle atteggiamento che il capitale ha imposto verso la natura e dalla violenza irrazionale con cui ha costruito le sue immense megalopoli?
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