Il capitalista e il padrone. Note su Marx e Lacan
di Mario Pezzella
[Relazione presentata al convegno Marx e la critica del presente (novembre 2018) e apparsa, in forma leggermente diversa, in P.P. Poggio, C. Tombola (a cura di), L’ultima rivoluzione. Figure e interpreti del Sessantotto, Brescia, Fondazione Micheletti, 2019].
Non parlerò in questa sede di Lacan in generale; mi limito a ricordare che secondo gli interpreti più autorevoli1 esistono tre periodi nel suo pensiero, con caratteri anche molto diversi: il primo, dominato dalla logica kojeviana-hegeliana del riconoscimento intersoggettivo (la relazione analitica parte da una parola vuota, in cui il paziente si trova nella posizione del servo di fronte a un padrone supposto-sapere; l’analisi rovescia questa dissimmetria, dissolvendo la struttura stessa del rapporto servo-padrone e lasciando emergere la singolarità irriducibile del soggetto e del suo desiderio); il secondo dominato dalla concezione dell’inconscio come linguaggio e dallo strutturalismo dell’ordine simbolico; il terzo in cui l’onnipotenza di questo ordine si sgretola, di fronte all’impossibilità di assorbire completamente nel simbolico pulsioni e singolarità soggettive (o ciò che Lacan chiama l’irriducibile e perturbante Reale)2. Noi ci occuperemo solo di quest’ultimo periodo e precisamente di alcuni nodi problematici in cui Lacan si confronta col pensiero di Marx ed emerge la sua concezione dell’inconscio sociale. Scarto di proposito quelli che si prestano solo a una vaga analogia e mi rivolgerò a tre livelli o tre gradi di pensiero: il discorso del capitalista, il lato osceno del potere, l’alienazione.
Nel corso di scritti e seminari tenuti negli anni dal 1968 in poi3, Lacan ha sempre più distinto un «discorso del capitalista» dal tradizionale «discorso del padrone». Il primo sarebbe caratterizzato da una inedita «ingiunzione al godimento», caratteristica del capitalismo nella sua fase di dominio della fantasmagoria consumista delle merci, mentre il secondo era ancora dominato dal rapporto servo-signore e dalla lotta per il riconoscimento. Questa riflessione di Lacan è direttamente condizionata dagli eventi del ’68 e dal difficile dialogo con gli studenti in rivolta, i quali, secondo Lacan, avrebbero continuato a ragionare pensando a un «padrone repressivo» nei riguardi del desiderio, piuttosto che a un capitalista produttore di godimento consumistico.
Continua a leggere “Il capitalista e il padrone. Note su Marx e Lacan”
Le due possibili teorie della soggettività in Marx
di Roberto Finelli
Il tema torna ad essere quello della compresenza in Marx di due definizioni e identificazioni della soggettività storica, che appaiono essere di scarsa compatibilità tra loro. La prima vede coincidere produzione con rivoluzione, nel senso che il soggetto del lavoro è immediatamente il soggetto di una trasformazione storica. Ed è soggetto universale – erede in ciò della filosofia classica tedesca – per questa sua identità di soggetto fabbrile.
Tale carattere “ontologicamente universale del soggetto fabbrile” sta alla base sia della filosofia della storia delineata nel materialismo storico sia della teoria della contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e rapporti sociali di produzione, fino a includere nella sua presupposizione anche la mitologia del General Intellect e del Cervello Sociale depositata nei Grundrisse. A tale teoria fortemente identitaria e antropocentrica della soggettività appartiene non a caso anche la celebrazione del “lavoro vivo” come principio di un vitalismo umanistico non sufficientemente argomentato e come presunta eccedenza originaria e permanente rispetto al rapporto sociale capitalistico.
Continua a leggere “Le due possibili teorie della soggettività in Marx”
Marx e la questione di genere
di Tania Toffanin
Lo sforzo operato in questo contributo è volto ad esplorare le relazioni di genere e il lavoro riproduttivo nell’opera marxiana. L’analisi segue l’itinerario cronologico delle opere di Marx con un’attenzione specifica alle opere giovanili e al Capitale. L’analisi intende cogliere alcuni aspetti che fino ad ora sono stati sviluppati in modo limitato e offrire alcuni spunti relativi alle potenzialità e alle criticità esistenti nelle opere di Marx.
Di fatto, il lavoro riproduttivo non occupa un ruolo marginale o secondario nella giornata lavorativa, né esso può essere considerato accessorio alla produzione diretta di beni e servizi. Tuttavia, il valore del lavoro svolto all’interno della sfera riproduttiva, vitale per la sopravvivenza della specie umana, è stato, e in parte ancora è, disconosciuto, ricondotto a elemento costitutivo, “naturale”, intimamente connesso ai rapporti di parentela e prossimità. Per contro, esso va visto come materialmente e storicamente determinato.
La società nei Grundrisse. Tra indifferenza e individuazione
di Luca Basso
La relazione si fonda sull’analisi della società nei Grundrisse, e sulla sua connessione strutturale con l’individualità: solo a partire dal sistema capitalistico, nella sua differenza specifica rispetto alle forme precapitalistiche, si può parlare in senso stretto sia di società sia di individualità. Al centro del discorso sulla società si trova la co-implicazione, solo apparentemente paradossale, fra indifferenza e individuazione.
Anche utilizzando la Einleitung del 1857, si mostrerà come non solo la società ma anche l’isolamento possiedano in Marx un’ambivalenza costitutiva, articolando una prospettiva comunista non basata su un dominio del “sociale” sull’“individuale”. Si cercherà così di mettere in luce, nell’ottica di una critica del presente, la rilevanza cruciale della posta in gioco di Marx in merito alla soggettività, e nello stesso tempo l’esistenza di alcuni problemi che rimangono aperti.
Perché l’umanesimo del giovane Marx può ancora servirci
di Ferruccio Andolfi
La relazione ricostruisce brevemente il concetto di umanesimo quale emerge dai Manoscritti marxiani del 1844, la sua rielaborazione nell’Ideologia tedesca e la permanenza nelle opere più tardi del tema di un “positivo fondato su se stesso” che sta oltre la negazione della negazione.
Le caratteristiche della crisi di valori etici che contraddistingue l’attuale fase storica, in Italia e altrove, e l’imbarazzante perdita di senso elementare di umanità che si registra in una larga parte della popolazione, o del “popolo”, rendono opportuna la riabilitazione e il recupero di questo messaggio del giovane Marx, da cui peraltro egli stesso non seppe trarre tutte le conseguenze.
Marx e l’ipotesi rivoluzionaria
di Stefano Petrucciani
Riprendendo una riflessione sulle diverse modalità della critica sviluppata da Axel Honneth, si può provare a distinguere in Marx tre tipi di critica del capitalismo: critica funzionale, critica morale e critica etica. Che in Marx vi sia una critica funzionale, non c’è dubbio; molte sono le analisi circa le disfunzionalità del capitalismo, i suoi rischi di crisi e di collasso. C’è da chiedersi però se altri sistemi di produzione comportino rischi minori.
C’è in Marx una critica morale? La tesi è che c’è, anche se Marx non pensa che ci sia. Vi è una critica della dominazione che il capitalismo comporta che può essere intesa come una critica “normativa”. C’è una critica etica? Certamente sì, perché Marx ritiene che, dal punto di vista della vita buona e dello sviluppo umano, la società competitiva soffra di enormi limiti.
Gli errori di Marx
di Rino Genovese
Quando si parla degli errori di Marx, ci si riferisce per lo più alle sue previsioni sbagliate: alla teoria dell’impoverimento crescente (smentita dallo sviluppo dei ceti medi e dal relativo benessere che, fin dai primi del Novecento, coinvolse anche la classe operaia), oppure alla presunta legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, che avrebbe dovuto condurre il modo di produzione capitalistico verso la sua crisi risolutiva.
Ma questi “errori” fanno parte in effetti di un unico grande errore compiuto da Marx, quello di avere voluto conferire alla sua critica dell’economia politica lo statuto di una scienza “predittiva” sul modello delle scienze naturali. Al contrario la teoria di Marx s’inserisce, sia pure con un suo alto livello di complessità, in una tradizione che è quella del pensiero utopico. Si tratta allora di ritornare alla radice utopica del socialismo, anziché predicare un “socialismo scientifico”.
Il marxismo spazzolato contropelo. La questione dei tempi multipli
di Vittorio Morfino
La teoria della temporalità marxista si basa su una concezione della storicità ereditata da Hegel e su una costellazione di concetti fondamentali sviluppati dalla grande tradizione illuministica: unicità, continuità, stadialità epocale. Non è difficile trovare questa problematica in testi come il Manifesto del Partito Comunista o la Prefazione del 1859, da cui si può tracciare una lunga serie di filiazioni che arrivano fino ai giorni nostri.
Tuttavia, tracciando i contorni della tradizione marxista, è possibile individuare una serie di concetti (che indico attraverso la categoria generale di “temporalità plurale”) che sembrerebbe segnalare l’inadeguatezza di una concezione lineare dello sviluppo storico. Nell’intervento saranno esaminati alcuni momenti salienti: dal Diciotto Brumaio alla Lettera a Vera Zasulič, dal Bloch di Eredità di questo tempo a quello di Sul progresso, fino all’Althusser della temporalità differenziale e oltre.
Note sulla formazione del valore
di Federica Giardini
È agli inizi del 2000 che la critica sociale comincia a registrare la perdita di efficacia della nozione di dominio – che individua la linea teorica che va da Hegel a Butler, passando per Simmel e Foucault – per riaprire all’uso degli strumenti marxiani (Fraser, Honneth, Redistribuzione o riconoscimento? 2003).
Se le nozioni marxiane di sfruttamento (E. Renault, Ressources, problèmes et actualité du concept d’exploitation, 2018) e di accumulazione (S. Mezzadra, La cosiddetta accumulazione originaria, 2008) sono state oggetto di riletture volte ad attualizzarne l’uso, va nondimeno registrato il recente ritorno di interesse – articolato, plurale e dunque meno definito – per il nesso marxiano tra sfruttamento e teoria del plusvalore, che si concentra sulle attuali dinamiche di attribuzione del valore.
C’è vita su Marx? Valore, denaro, capitale e crisi nella critica dell’economia politica
di Riccardo Bellofiore
La teoria economica di Marx deve essere ricostruita come teoria macrosociale e monetaria della produzione capitalistica. Sul terreno del metodo si suggerisce la necessità di comprendere in modo appropriato le distinzioni tra critica dell’economia politica e economia politica critica, e tra carattere di feticcio e feticismo.
La relazione si focalizzerà soprattutto sul primo libro del Capitale, tornando sulle controversie in merito a lavoro astratto, denaro, socializzazione, sfruttamento, concorrenza, salario e riproduzione. Non verrà trascurato, però, un accenno al cosiddetto problema della trasformazione e alla teoria della crisi. Ci si chiederà quale sia l’attualità del discorso marxiano nel mondo della sussunzione reale del lavoro alla finanza e della centralizzazione senza concentrazione.
Dominio e critica della società. Marx e la semantica del potere
di Maurizio Ricciardi
La relazione si concentra su alcuni aspetti della semantica del potere in Marx, per vedere se essa possa ancora stabilire la base per una analisi delle forme storiche e quindi anche contemporanee di subordinazione politica e sociale. L’intento è mostrare che esiste in Marx una specifica analisi del potere e della sua possibile dissoluzione, che mostra elementi di validità anche nell’epoca del neoliberalismo.
All’interno della distinzione tra potere e dominio che è già centrale nel Manifesto, Marx individua una specifica tensione tra il potere politico e quello sociale che mostra la sostanziale insufficienza del primo. Ciò coinvolge ovviamente il giudizio marxiano sullo Stato, sulla sua funzione storica e sulla sua possibilità concreta di modificare realmente il rapporto di capitale.
Continua a leggere “Dominio e critica della società. Marx e la semantica del potere”
Marx e i furti della legna: consuetudini, crimini e misfatti
di Jamila Mascat
Nell’autunno del 1842 Marx pubblica sulla Rheinische Zeitung una serie di cinque articoli che discutono le deliberazioni della Dieta renana in merito alla legge contro i furti della legna. In tale occasione Marx sviluppa una critica della nuova legislazione che, in nome della tutela legale della proprietà, sanziona e punisce la pratica consuetudinaria dei contadini d’Oltrereno di appropriarsi dei rami caduti nelle foreste demaniali.
L’intervento prende le mosse dalla ricostruzione dell’argomento elaborato da Marx in difesa dei “furti della legna” per indagare lo statuto e la funzione del diritto negli scritti del primo Marx. Analizzando la critica – eminentemente giuridica – del diritto positivo che egli elabora in queste pagine della Rheinische Zeitung, si procederà a situare la prospettiva marxiana rispetto alle sue fonti – Hegel e Gans, da un lato, e la scuola storica di Savigny, dall’altro – allo scopo di far luce sulle ambivalenze polisemiche del concetto di diritto e i suoi differenti usi nella teoria del giovane Marx.
Soggettività vs. soggetto automatico: il rapporto di capitale e i suoi antagonismi
di Giorgio Cesarale
Secondo la tesi di Ernesto Laclau, il rapporto fra capitale e forza-lavoro sarebbe oggettivamente non antagonistico. Se una contraddizione si viene a costituire tra capitale e forza-lavoro, questa dovrà la sua origine a rapporti sociali extra-produttivi e soprattutto a un investimento di carattere politico.
Ma il concetto di “forza-lavoro” è davvero così impotente socialmente e politicamente? Il ragionamento di Marx, nella sua critica dell’economia politica, si muove precisamente lungo la direzione opposta. La nostra tesi è che per comprenderlo occorra misurarsi attentamente con le articolazioni più fini del concetto di “forza-lavoro”, specie là dove, come nei Grundrisse, esso viene associato a quello di “soggettività”.
Dall’analisi di tali concetti risulterà che il rapporto fra capitale e forza-lavoro ha bisogno, per costituirsi, di separare le sue determinatezze: deve cioè ospitare il non-rapporto, generando le condizioni di possibilità del conflitto, o, nel linguaggio di Laclau, dell’antagonismo.
Il discorso del capitalista. Tra Marx e Lacan
di Mario Pezzella
Nel corso di scritti e seminari tenuti negli anni dal 1968 in poi, Lacan ha sempre più distinto un “discorso del capitalista” dal tradizionale “discorso del padrone”. Il primo sarebbe caratterizzato da una inedita “ingiunzione al godimento”, caratteristica del capitalismo nella sua fase di dominio della fantasmagoria consumista delle merci, mentre il secondo era ancora dominato dal rapporto servo-signore e dalla lotta per il riconoscimento.
Questa riflessione di Lacan è direttamente condizionata dagli eventi del Sessantotto e dal difficile dialogo con gli studenti in rivolta, i quali, secondo Lacan, avrebbero continuato a ragionare pensando a un “padrone repressivo” nei riguardi del desiderio, piuttosto che a un capitalista produttore di godimento consumistico. Oltre che essere direttamente ispirata dagli eventi degli anni in cui si svolgeva il seminario, tale riflessione permette di avviare una riflessione sulla categoria di “inconscio sociale” (distinguendolo da inconscio personale e collettivo) e del suo attuale rapporto con le forme del capitale.
Continua a leggere “Il discorso del capitalista. Tra Marx e Lacan”
Decodificare il geroglifico. Marx e la letteratura come forma implicita dell’umano
di Daniele Balicco
Se fosse riuscito a finirlo, Marx avrebbe voluto scrivere, dopo il Capitale, un saggio sull’opera di Honoré de Balzac. Perfino nella sua opera principale, del resto, la letteratura non è solo archivio di citazioni con cui corrodere il senso comune borghese, ma un modello operativo di conoscenza e di espressione: il Capitale fu progettato e scritto per essere, nello stesso tempo, trattato scientifico e opera d’arte.
Scopo della relazione sarà di provare a verificare cosa interessi al Moro della letteratura, e per quale ragione l’interrogazione intorno al suo potere conoscitivo resti, fino alla fine, irrinunciabile.
La “Palmerstonite”: Marx e la personalizzazione del potere in Inghilterra
di Michele Prospero
In uno scritto del 1857, Marx (The English Election, in Collected Works, vol. 15, p. 226) osserva che “il futuro storico, che scriverà la storia dell’Europa dal 1848 al 1858, sarà colpito dalla somiglianza tra l’appello alla Francia fatto da Luigi Bonaparte nel 1851 e l’appello al Regno Unito fatto da Palmerston nel 1857”. Si intravede, nei sistemi politici europei più importanti, l’emergere di uno schema inedito con il capo che si rivolge direttamente al popolo scavalcando le mediazioni della rappresentanza.
Al di là delle rilevanti differenze storiche, che a metà del secolo hanno disegnato le specifiche istituzioni di governo operanti nei due regimi costituzionali, esiste un comune processo che caratterizza gli ordinamenti della Francia e dell’Inghilterra. Quando gli istituti politici si imbattono in una crisi funzionale, riconducibile agli effetti dirompenti dei processi di allargamento della partecipazione, le risposte secondo Marx tendono a restringere le eterogeneità riscontrabili tra i vari sistemi e talune somiglianze di fondo affiorano nei fenomeni di gestione del potere pur nella persistenza delle differenze ordinamentali. Dinanzi all’impatto di una stessa dinamica storica (l’allargamento delle basi di massa dello Stato), le risposte tendono a convergere in una assunzione di alcuni nodi (personalizzazione del comando e appello al popolo oltre le forme della mediazione).
Continua a leggere “La “Palmerstonite”: Marx e la personalizzazione del potere in Inghilterra”
General intellect e individuo sociale
di Francesco Raparelli
Nel celebre Frammento sulle macchine dei Grundrisse, Marx presenta due concetti decisivi, di cui nel Capitale si perdono le tracce: il general intellect, utilizzando l’espressione inglese, e l’individuo sociale. Il primo indica lo sviluppo del capitale fisso, ovvero la trasformazione del sapere sociale generale in “forza produttiva immediata”: le macchine, “organi dell’intelligenza umana”. Il secondo concetto, dal primo conseguente, ha una doppia definizione: per un verso, col suo sviluppo, “grande pilastro della produzione e della ricchezza”; per l’altro, a partire dalla precedente qualificazione, esibisce il comunismo come “utopia concreta”.
Secondo un doppio movimento, la relazione presenta la genealogia (possibile) dei due concetti e, nello stesso tempo, la loro consistenza attuale. Da una parte, le premesse averroiste del general intellect, quelle spinoziane dell’individuo sociale; dall’altra, una diagnosi del capitalismo contemporaneo, sempre più innervato dalla nuova robotica, dall’intelligenza artificiale, dalla mente interconnessa.