di Rino Genovese
Tra le due o tre cose che so della Svezia, c’è che questo paese, celebre per la qualità del suo Stato sociale, negli ultimi anni ha accolto ben 450.000 rifugiati su una popolazione di dieci-undici milioni di abitanti. Un mese fa a Stoccolma, in una centralissima stazione della metro, ho visto nel botteghino delle informazioni un’immigrata velata e con l’abito scuro lungo fino ai piedi tipico degli sciiti (che, per chi ancora non lo sapesse, sono una corrente dell’islam diffusa soprattutto tra Iran e Iraq). Ecco la prova di un’integrazione riuscita. La politica dell’accoglienza ha certo ricevuto un colpo dalle recenti elezioni, in cui il partito di estrema destra anti-immigrati, dal nome fasullo di “Svedesi democratici”, ha raggiunto il 17%, ma nell’insieme ha tenuto e il partito socialdemocratico, con il suo 28% (che tuttavia costituisce un record negativo), è rimasto il primo partito. La prospettiva politica che si apre adesso è quella di una probabile grande coalizione alla tedesca, con i moderati conservatori, rimasti il secondo partito al 19%, e i loro alleati minori.
Quale allora la lezione svedese? Che resistere alla ondata populistica e di estrema destra si può. Se in Italia questo non è stato possibile (sebbene il grillismo, con tutto il suo qualunquismo, non sia interamente assimilabile a questa ondata), ciò è dipeso dagli errori della sinistra e del centrosinistra (se così ancora vogliamo definire l’area che ha espresso i governi che si sono succeduti da Letta a Gentiloni, passando per Renzi). In una certa sinistra, in particolare, non si è voluto vedere come la pur giusta polemica antiliberale abbia il suo limite nell’evitare di fare il gioco della destra estrema. Con i liberali in certi casi bisogna allearsi. Il punto è che, nella stramba situazione italiana, i centristi liberali stanno all’interno di quello che sarebbe il maggiore partito di centrosinistra, cioè il Pd. La speranza è quindi che nel Pd emergano quelle forze non rassegnate al declino centrista di questo partito. Inoltre, nel prossimo parlamento eruropeo che uscirà dal voto del maggio 2019, al momento non s’intravede alternativa a un’alleanza con i popolari, al fine di evitare che questi siano definitivamente attratti verso le posizioni euroscettiche, sovraniste, identitarie, attualmente con il vento in poppa. Tertium non datur: o il proseguimento di una collaborazione tra i socialisti e il centro, o un pericoloso spostamento dell’asse europeo a destra.
Ma – si dirà – sono proprio le forze centriste, come sottolineava Thomas Piketty in un recente articolo su Le Monde, ad avere provocato, con il loro stesso immobilismo incapace di modificare anche solo di poco la prospettiva liberal-liberista dell’Europa contemporanea, il rigetto “social-nativista”, com’egli definisce la perversa combinazione di uno spirito xenofobo con la volontà di difesa delle protezioni sociali solo per i “nativi”. Questo è vero. Ma ci sono momenti in cui, per non prenderle, è amaramente necessario allearsi con i centristi. È la posta in gioco delle prossime elezioni europee, nelle quali Angela Merkel e perfino uno come Macron (quanto di più detestabile, per la sua ipocrisia, sulla questione degli immigrati) dovranno essere considerati potenziali alleati per impedire uno scivolamento della situazione europea ancora più a destra.