[“Diritto alla città”, Roma, 24-25 novembre 2016]
«Il diritto alla città si presenta come forma superiore dei diritti, come diritto alla libertà, all’individualizzazione nelle socializzazioni, all’habitat e all’abitare. Il diritto all’opera (all’attività partecipante) e il diritto alla fruizione (ben diverso dal diritto alla proprietà) sono impliciti nel diritto alla città.»
Abbiamo scelto il titolo Diritto alla città per riprendere un tema che ha segnato un’epoca di rivoluzione culturale e nuova coscienza civile, gli anni Sessanta e Settanta, quella:
- dei movimenti e dei “nuovi diritti”: dell’ecologia, delle donne, dei gay, delle minoranze etniche, del pacifismo;
- di un uso “politico” della città e degli spazi pubblici: le strade e le piazze usate per manifestare e proporre idee;
- della costruzione, in architettura, dei grandi progetti urbani, ancora nel segno di una visione progressista e utopica della città (si pensi alle villes nouvelles in Francia e ai quartieri di edilizia abitativa pubblica, poi divenuti le “periferie contemporanee”).
Abbiamo scelto il titolo Diritto alla città anche per tornare a considerare, in un’ottica di attualità, e come comunità scientifica interdisciplinare, alcune questioni socio-urbane ad esso collegate:
- la contrapposizione centro/periferia, che continua ad esistere nonostante la città non abbia più limiti definiti e abbia raggiunto dimensioni territoriali;
- il de-potenziamento degli spazi pubblici ovvero il declino del ruolo aggregante della strada e della piazza;
- la contrapposizione tra progetto della città e pratiche della città (usi formali e informali degli spazi pubblici e privati);
- l’acuirsi delle condizioni di esclusione dai servizi e dall’offerta urbana (di cui il movimento brasiliano Passe livre ha significato un momento di contestazione);
- l’aumento dei dispositivi del controllo e della sicurezza.
Diritto alla città non è dunque soltanto il titolo di un libro scritto nel 1967, è anche una (felice) sintesi dei rapporti tra città, società e progetto, quest’ultimo inteso nel senso di prefigurazione e di costruzione dello spazio urbano, pubblico e privato (architettura della città), così come di una politica della città a fronte della consapevolezza che essa è divenuta il campo di vita e di azione di una molteplicità (moltitudine) di soggetti abitanti con vari titoli di cittadinanza. Nell’epoca della “società liquida”, per usare le parole di Bauman, il valore d’uso e la qualità dell’abitare sono del tutto cambiati.
Un breve inquadramento del pensiero lefebvriano
A questo punto, è importante aprire una parentesi e ricordare che Henri Lefebvre non era un architetto e neanche un urbanista, ma un filosofo e un sociologo che ha sviluppato le sue tesi spostando il centro dell’analisi dalla fabbrica alla città, ritenendo le periferie l’emblema di un progetto di potere mascherato come progressista: dare la casa ai meno abbienti.
L’ipotesi avanzata da Lefebvre è che sia la produzione dello spazio (ovvero la pianificazione) a rispecchiare quei rapporti di classe e di potere che Marx aveva studiato a partire dalla fabbrica, ponendo così la questione del passaggio del conflitto sociale dai luoghi di lavoro ai luoghi urbani. Partendo dal presupposto, dunque, che industrializzazione e urbanizzazione siano le due facce di uno stesso processo di dominio delle classi privilegiate, Lefebvre legge la città come topografia dei conflitti di classe (quindi dei conflitti sociali). Da una parte ci sono i centri dove sono concentrati in una ristretta area, non accessibile a tutti, gli uffici del governo e la borsa (si intenda Parigi, Londra, New York cioè le capitali della modernità), dall’altra ci sono le periferie e i sobborghi lontani dal centro urbano e dai servizi.
In sintesi, se l’urbano è «la proiezione della società sul territorio» come ha scritto Lefebvre, i quartieri della periferia sono l’espressione di una segregazione e di una privazione del diritto alla città dovuti alla distruzione del valore di urbanità, inteso quest’ultimo come pratica d’uso.
Le tesi di Lefebvre vanno contestualizzate storicamente. Al momento della stesura del libro, alla vigilia dei movimenti di contestazione, Parigi era nel pieno di uno dei suoi processi di trasformazione: veniva costruito il Boulevard Périférique (l’anello autostradale costruito sul tracciato delle antiche fortificazioni del comune di Parigi e inaugurato nel 1973) che ha segnato il confine e la separazione tra il centro “intra muros” (la città di serie A) e la banlieue “extra muros” (la città di serie B). Inoltre la guerra di Algeria (1954-1962) aveva evidenziato la “non-linearità” del processo di decolonizzazione e l’insorgenza di nuove conflittualità socio-culturali e non soltanto politiche.
Attualità di Henri Lefebvre
Aldilà delle semplificazioni “disciplinari” della lettura della storia della città e di una disamina dei processi di urbanizzazione che è stata ampiamente ri-elaborata e problematizzata nel corso degli ultimi decenni (la città è un fenomeno complesso che ha raggiunto megadimensioni), i ragionamenti lefevbriani individuano alcuni temi che non sono niente affatto superati:
- lo sviluppo dei territori (la città urbs): quale/i rapporto/i tra centro e periferie (collegamenti, infrastrutture, servizi…)?;
- le figure degli spazi, pubblici e privati, i programmi e le pratiche d’uso (la città civitas): se la «socializzazione della società» avviene attraverso l’urbano come considerare il doppio livello delle pratiche, formali e informali e la “domanda” rivolta da chi abita a chi progetta l’architettura della città?;
- il governo del territorio urbano e le istanze sociali e politiche (la città polis): come stabilire una relazione tra la partecipazione da un lato e la pianificazione dall’altro? Come gestire il rapporto tra il formale e l’informale, tra l’urbanizzato e lo spontaneo?
A questo si può aggiungere che a distanza di anni l’immagine della città si è fortemente complessificata e che essa appare piuttosto come il luogo della contemporaneità del non-contemporaneo (Ernst Bloch), ovvero di una paradossale condizione secondo cui le persone, pur vivendo nella stessa epoca, appartengono per ragioni culturali (per religione, storie…) a tempi diversi. Così l’urbanità non è più una soltanto, ma è la pluralità delle urbanità, che coesistono nella città senza necessariamente mescolarsi, conservando identità e tradizioni che danno luogo ad aggregazioni spurie, di cui il territorio è una cartina di tornasole.
La nuova questione urbana : problematiche
Ci sono però alcune altre considerazioni da fare a partire, sempre, dall’immagine lefebvriana dell’urbano come «proiezione della società sul territorio».
Una prima considerazione viene suggerita dal libretto La città dei ricchi e la città dei poveri di Bernardo Secchi e riguarda l’aggravarsi delle differenze economiche che ha fatto emergere, sono le parole di Secchi, «[…] una specifica questione urbana articolata attorno a temi tra loro difficilmente separabili, come quelli delle diseguaglianze sociali, del cambiamento climatico e del diritto all’accessibilità…» e a fronte della quale Secchi introduce una nuova categoria, quella del capitale spaziale. Scrive ancora Secchi «[…] ricca è anche la persona, la famiglia, il gruppo che dispone di un elevato capitale spaziale, vive cioè in parti della città e del territorio dotate di requisiti che ne facilitano l’inserimento nella vita sociale, culturale e professionale». In sintesi, le localizzazioni cioè il posto in cui si vive e le distanze tra i luoghi e l’accesso ai servizi, sono elementi sostanziali del diritto alla città e della qualità della vita urbana.
Un’altra considerazione riguarda la circolazione dei beni e delle persone che assegna un valore materiale all’accessibilità, la quale diventa un elemento complementare del capitale spaziale teorizzato da Secchi.
Infine, un altro aspetto, emerso di recente, che entra in gioco nella nuova questione urbana è quello dei flussi migratori, prodotti soprattutto dalle guerre, che pongono con urgenza la necessità di valutare nuove morfologie dei luoghi e nuove tipologie dell’architettura.
Ricognizioni: verso un possibile think tank di architettura, cultura e società
Sulla base di queste considerazioni, il convegno riunisce architetti, filosofi, sociologi, storici della politica e studiosi della comunicazione in una riflessione collettiva per parlare di città nel senso contemporaneo del termine, ovvero di una condizione del tutto anomala rispetto alle categorie di urbs, civitas e polis con cui tradizionalmente è stata definita e identificata che in questo contesto sono le tre parole chiave – Territori Spazi Flussi – che servono a descriverne tre aspetti: la dismisura del territorio (ex urbs), la proliferazione degli spazi pubblici e privati e delle pratiche d’uso, formali e informali (ex civitas), i flussi delle genti e le reti delle comunicazioni, materiali e immateriali (ex polis). I tre termini stanno dunque a indicare una stessa fenomenologia, quella della città contemporanea, e al tempo stesso sono termini strumentali all’articolazione del convegno.
L’interesse è dunque discutere di una sola, complessa e articolata, questione urbana che in questo primo incontro abbiamo limitato ad architettura e società, rinviando altri punti di vista tra cui quello economico e dell’urbanistica, ad appuntamenti successivi. Perché questo è un convegno che noi intendiamo come un inizio.