di Stela Xhunga
Il 2020 è stato l’anno della paura. Paura di ammalarsi, paura di morire, paura di non arrivare a fine mese. C’è però una parola che terrorizza gli italiani ma non c’entra con il virus ed è “patrimoniale”. La sola pronuncia è in grado di scatenare le reazioni più scomposte da destra a sinistra, passando per il centro. L’aspetto curioso della faccenda sta nel fatto che non sono solo i grandi borghesi a rabbrividire al suono di “patrimoniale” ma anche i piccoli borghesi e persino i proletari. I primi la temono nonostante siano ricchissimi, i secondi si accodano pavlovianamente per sembrare anche loro un po’ ricchi o comunque vicini ai ricchi e i terzi perché l’eredità lasciata da vent’anni di berlusconismo è l’amore per i ricchi. Un eros sfrenato, che si inserisce perfettamente nei dogmi liberisti degli ultimi decenni e trova il suo casus belli nel famoso 6 per mille sui capitali applicato dal governo Amato nel 1992. Un prelievo forzoso che è parso particolarmente odioso perché operava già al netto delle imposte, detto altrimenti, le tasse su quei patrimoni i cittadini le avevano già pagate. “Fu un male necessario”, ammise a distanza di anni Amato: “Serviva una prima manovra correttiva da trentamila miliardi di lire e avevo passato la notte a discutere con i tecnici del Tesoro e delle Finanze come trovare gli ultimi otto. Mi offrivano di alzare l’Iva, ma avrebbe fatto salire ancora l’inflazione; o di agire sull’Irpef, ma avrei alzato le tasse sui ceti più deboli. Fu allora, alle 4 del mattino, che Giovanni Goria (ndr. allora Ministro delle Finanze) mi prese da parte e mi chiese se poteva studiare il prelievo”. Di lì in poi lo strappo non fu più ricucito e il parlamento non seppe rimettere sul tavolo una discussione laica sul tema della patrimoniale. Non ci è riuscito neppure stavolta, in un contesto inedito come quello innescato dal Covid-19 ormai un anno fa.
La proposta di patrimoniale firmata dai deputati Leu e Pd (Nicola Fratoianni, Matteo Orfini, Enza Bruno Bossio, Chiara Gribaudo, Rossella Muroni, Erasmo Palazzotto, Luca Pastorino, Giuditta Pini, Fausto Raciti e Luca Rizzo Nervo) insieme al deputato M5S Andrea Colletti è stata cancellata dalla Legge di Bilancio 2021. Con la sua introduzione la maggior parte dei risparmiatori medi avrebbe potuto risparmiare diversi soldi, a cominciare dai proprietari delle seconde case, che avrebbero visto sparire l’odiata Imu. Altro che “arresto immediato”, come ha ripetuto per mesi Matteo Salvini additando quei brutti bolscevichi di Fratoianni e compagni, il calcolo delle tassazioni avrebbe risposto a principi progressisti così ripartiti: aliquota pari a 0,2 per cento per i patrimoni tra 500 mila euro e 1 milione, aliquota pari a 0,5 per cento da 1 a 5 milioni di euro, aliquota pari all’1 per cento tra i 5 e i 50 milioni di euro, aliquota pari al 2 per cento sopra i 50 milioni di euro.
Una proposta di banalissimo buon senso che avrebbe “colpito” solo il decile più alto, senza effetti ritorsivi sui decili più bassi e quelli intermedi. Se i media l’avessero spiegata con la stessa acribia con cui normalmente enumerano i peli delle braccia di questo o quel politico balzato nei trend topic di Twitter, l’italiano medio avrebbe scoperto che ne avrebbe trovato giovamento e l’occasione sarebbe stata almeno buona per tornare a parlare di giustizia sociale in questo paese.
Così non è stato. Anzi, a trattativa appena iniziata, il M5S già parlava di “suicidio” e il Pd prendeva le distanze da Orfini e Gribaudo, scampando il pericolo di compiere la prima azione di sinistra dacché è stato fondato. Il dibattito sul tema è così inquinato che, dopo la sonora bocciatura alla Camera (con ben 462 no, 6 astenuti e solo 19 sì), tutti i politici, dalle cariche del governo alle forze di opposizione, hanno cercato di prendersi i meriti per accaparrarsi consenso elettorale. “Non ci sarà nessuna patrimoniale – ha scandito Luigi Di Maio in favore di telecamera – l’emendamento non è passato perché ci siamo opposti”. Saracinesche abbassate, sparito ogni spazio di dialogo. Anche stavolta la narrazione ha vinto sui fatti.
L’arma retorica usata dai detrattori per terrorizzare le masse e tentare di alienare l’opinione pubblica dalla patrimoniale è dipingerla come una manovra che colpisce con l’accetta ogni bene e proprietà in maniera indiscriminata. Niente di più falso. Un altro falso mito è poi quello per cui la patrimoniale sarebbe una sorta di assalto ai palazzi d’inverno. Non è così. L’obiettivo è rendere sconveniente la ricchezza eccessiva, come da tempo fanno i paesi scandinavi, non certo proibire la ricchezza, la quale è data sia da attività reali – immobili, aziende, oggetti di valore, terreni – sia da attività finanziarie – investimenti in titoli di Stato, azioni, titoli esteri, obbligazioni private, fondi, polizze, depositi.
La ricchezza in Italia è tanta ma distribuita in maniera diseguale: oggi a disporre di una ricchezza netta superiore ai cinquecentomila euro è poco meno del 10 per cento dei nuclei familiari, che detengono circa il 45 per cento della ricchezza netta complessiva. Restringendo ulteriormente la lente, scopriamo che oltre il 40 per cento di questa quota è detenuta dal 5 per cento più ricco, che ha un patrimonio netto in media pari a 1,3 milioni di euro. Aggregando i dati in una semplificazione un po’ brutale, emerge che il 10 per cento più ricco degli italiani detiene il 55 per cento della ricchezza totale. Di questo 10 per cento solo il 5 per cento concentra addirittura la stragrande maggioranza delle attività finanziarie, cui il 70 per cento della popolazione non ha minimamente possibilità di accedere, né ora né mai.
Se poi pensiamo che la maggior parte dei capitali stanno in Olanda e nei paradisi fiscali che mutilano il nostro sistema industriale e riflettiamo sui tagli all’istruzione, sulla precarizzazione del lavoro e sull’aumento del debito pubblico per coprire la spesa corrente, l’assistenzialismo e l’evasione fiscale che piegano il nostro paese ben prima dell’arrivo del virus a scapito dei giovani e del loro futuro, capiamo quanto volgare sia stato il baccano sollevato dall’eventualità di una piccola, risicata patrimoniale. Tanto rumore per nulla.