di Stefania Limiti
Non tutti i depistaggi sono uguali. Alcuni riescono bene, altri falliscono completamente, oppure svolgono solo in parte il loro sporco lavoro.
Quelli architettati per la strage alla stazione di Bologna, anche se apparentemente non sono serviti allo scopo di confondere gli investigatori – visto che gli esecutori materiali sono stati individuati – hanno funzionato abbastanza bene, purtroppo. Infatti, il cuore della faccenda, cioè il progetto stragista ordito dal sistema piduista e messo in pratica dai più efferati gruppi del terrore neofascista, è stato annacquato per molti anni, nonostante le dure condanne inflitte a Licio Gelli e compari per il tentativo di ingarbugliare tutta la trama delle indagini indirizzandole sulla pista internazionale. Se le indagini sull’attentato al treno Italicus (4 Agosto 1974, dodici morti e quaranta feriti) fossero andate per il verso giusto, tutto sarebbe stato chiaro. Forse (se avesse un senso l’avverbio a cose fatte…) Bologna non sarebbe mai stata ferita in quel modo barbaro. Infatti, la mano piduista lì è certissima (per l’Italicus è già stato accertato il diretto coinvolgimento della P2).
Ma il tempo, si sa, è galantuomo e anche dopo tanti anni dal quel tragico agosto del 1980, e dopo le condanne come esecutori della strage dei terroristi dei Nar Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e in primo grado (lo scorso 9 gennaio 2020) di Gilberto Cavallini, siamo alla vigilia di un nuovo, promettente capitolo giudiziario. Dal 2017 ne è protagonista, insieme alla attivissima Associazione delle vittime e a un agguerrito collegio di parte civile, la procura generale della città – che ha incontrato nei mesi scorsi per due volte, fuori da ogni consuetudine, il presidente del Consiglio Conte, secondo fonti attendibili per discutere della de-secretazione di alcune carte. La scorsa settimana si è svolta l’udienza preliminare del processo che vede imputate diverse persone, tra cui l’avanguardista Paolo Bellini – alcune però non processabili perché morte (il capo dello P2 Licio Gelli, il suo braccio destra banchiere Umberto Ortolani, il potente capo della polizia politica Federico Umberto D’Amato e il giornalista piduista, senatore missino Mario Tedeschi) o perché già assolte in via definitiva (Picciafuoco).
Il processo deve provare definitivamente il finanziamento della strage da parte della P2 e la sua realizzazione ad opera di una galassia nera nella quale non sono attivi solo i Nar di Fioravanti, ma anche organizzazioni come Terza Posizione (Ciavardini nel periodo immediatamente successivo all’attentato, grazie all’intervento di Roberto Fiore, suo superiore di riferimento in TP, venne ospitato da un altro membro della stessa formazione) e Ordine nuovo (Roberto Rinani, militante della componente veneto-padovana di Ordine nuovo).
Si tratta di un processo, dunque, molto importante, reso possibile dal grande lavoro di digitalizzazione dei documenti grazie al quali i consulenti dell’Associazione delle vittime hanno rintracciato l’ormai famigerato “documento Bologna”, scoperto il 13 settembre del 1982 durante l’arresto in Svizzera del Venerabile ma finito in un cassetto perché nessun collegamento venne fatto tra la strage e quel miliardo di lire dato a un esponente della destra terrorista, come risulterebbe dall’appunto, qualche giorno prima di Bologna (in quel momento Gelli non è ancora indagato per i depistaggi). Si dirà: da allora solo oggi? Già, andò così: la provvidenza, o una mano lesta, tagliò l’intestazione del foglio su cui era scritto ben evidente: BOLOGNA. Il foglietto mozzato e apparentemente privo di significato girò di cassetto in cassetto per anni.
L’esito del processo è molto atteso perché, finalmente, consente una puntuale ricostruzione delle dinamiche che hanno ordito la strategia della tensione nella seconda parte degli anni Settanta. A cominciare dal ruolo di agenzia delle stragi che assume in quel periodo la P2, organizzazione massonica che si propone come centro di coordinamento del potere reale, ruolo che lo Stato gli lascia svolgere. Inoltre, sarà molto interessante riscrivere la storia del neofascismo, smontando le risibili ricostruzioni in termini di spontaneismo armato dei gruppi neri dopo lo scioglimento di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale.
Siamo dunque dentro un processo che potrà provare in termini giudiziari le responsabilità individuali in un quadro che storicamente è già molto ben descrivibile e nel quale non c’è spazio per le fantomatiche accuse rivolte ai gruppi palestinesi (la relativa pista è stata smontata da una lunga inchiesta poi archiviata), o per le campagne innocentiste sostenute in questi anni a favore di Mambro e Fioravanti, due terroristi le cui responsabilità sono pienamente provate da tempo, anche se in un quadro nel quale si sentiva l’assenza di “padri” della strage. Ora vedremo se le ipotesi investigative della procura generale troveranno conferma. Se c’è chi si chiede a cosa ormai possano servire, è fuori strada: per la verità, che è una componente essenziale della coscienza collettiva, non è mai troppo tardi.