Le Sardine, il plancton e Baudrillard

Sardine

di Stela Xhunga

“Sì, ma quali sono le proposte delle Sardine? E perché non sono arrabbiate?” si chiede con sospetto il plancton. C’è qualcosa di intrigante nel fuoco amico, non fosse altro che per la ricorsività con cui si ripresenta a ogni fenomeno, a ogni novità. Questo malcontento, questi afflati spasmodici di vibranti politici, giornalisti e sapientoni di sinistra che grazie alle Sardine hanno ritrovato la voce, sì, contro le Sardine. Plancton, “organismi acquatici galleggianti che, non essendo in grado di dirigere attivamente il loro movimento (almeno in senso orizzontale), vengono trasportati passivamente dalle correnti e dal moto ondoso”, così si legge su Wikipedia. E il moto ondoso li porta a sbattere contro le sardine, perché contro la balena e gli scogli ci si fa troppo male.

Con un briciolo di onestà intellettuale si converrebbe tutti nel dire che il 2019 è stato un insieme incongruo di grettezze, abomini e meteoriti, e che lì in mezzo anche il più piccolo bagliore ha l’effetto di una cometa. Superata la prima fase, per le Sardine non sarà semplice organizzarsi, soprattutto in termini di trasparenza, nelle reti digitali e di autogestione nelle reti territoriali, ma, di grazia, non potranno scendere più in basso di quanto si è fatto nel 2019, un anno preso per il bavero della giacca e rialzato giusto all’ultimo minuto. Le Sardine sono un movimento di opinione e non propriamente politico, promuovono un rinnovamento di toni e non di contenuti, parlano e basta. Potrà sembrare poca cosa, non lo è affatto. Quest’anno la quarta edizione della mappa dell’intolleranza realizzata da Vox, l’Osservatorio italiano sui diritti, ha fotografato la crescita dell’hate speech in Italia, sottolineando la diretta correlazione tra il linguaggio politico e la pervasività dell’odio online. Secondo un sondaggio di Swg, il 55% degli italiani oggi giustifica gli atti di razzismo come le parodie scimmiesche e gli insulti rivolti a Mario Balotelli durante una partita di calcio; Enzo Risso, direttore scientifico di Swg, ha parlato di “un affievolimento degli anticorpi”.

Un affievolimento degli anticorpi che si accompagna a quello della scuola: i dati di Open Polis riportano che il 24% dei ragazzi che vivono in contesti sociali svantaggiati, caratterizzati da disagio familiare, precarietà occupazionale e deprivazione materiale non raggiunge le competenze minime per leggere un testo e fare di calcolo a livello basilare, contro il 5% di quelli che vivono in famiglie agiate. Lo Stato, con gli ultimi governi che si sono succeduti, ha enormi responsabilità: nell’ultimo decennio gli investimenti italiani, sia come percentuale del Pil, sia come percentuale della spesa pubblica totale, sono sempre stati al di sotto della media Ue, contribuendo ad alzare i tassi di abbandono scolastico (nel 2017 toccò il 14% rispetto al 10,6% della media Ue) e di disoccupazione post-diploma (il tasso di occupazione dei neodiplomati dell’istruzione terziaria nella fascia di età 25-29 anni nel 2017 era del 54,5%, quella media Ue dell’81,5%). Dicevamo, un affievolimento. Un affievolimento degli anticorpi che si accompagna a quello della memoria: capita sempre più spesso che nei Comuni amministrati dal centrodestra raccontare la Shoah e organizzare visite ad Auschwitz siano attività ritenute “divisive” e perciò osteggiate. Nel giro di poco tempo in Italia tutto è diventato radicale, anche la normalità. Ricordare l’Olocausto, anteporre la conservazione della vita umana agli interessi politici, celebrare la Festa della Liberazione, tutte cose per le quali si è dovuto scendere in piazza per ribadirne la normalità. A quelle piazze il plancton chiede più radicalità, pena la dissoluzione, come accadde per i girotondi. Quanto è intrigante il fuoco amico.

Da anni c’è una cittadinanza eteromorfa, seppure collocabile a sinistra, che non ha un’offerta politica adeguata (e non è tenuta ad averla, quello sarebbe dovere dell’establishment, responsabile dell’inadeguatezza stessa) e un po’ per caso è riuscita a organizzarsi, a riempire le piazze, a ricucire un tessuto sociale che si credeva sbrindellato. Già questo è quasi un miracolo. Di più: in meno di due mesi, questa cittadinanza è riuscita a produrre un effetto mimetico, un effetto snow ball di mitezza diffusa che ha contagiato tutti, perfino Matteo Salvini. Mite, pacioso, aperto al confronto per la salvaguardia del Paese, pronto agli accordi bipartisan, tra novembre e dicembre 2019 è andato in scena un “capitano” inedito. Mentre la sinistra radicale era presa a fare le pulci alle Sardine, Salvini, ancora una volta, si è confermato abilissimo nel cambiare pelle in base all’umore della gente. Il sentiment dice mitezza? E mitezza sia. Tutte parole, certo, ma è dalle parole che le Sardine hanno iniziato la loro rivoluzione, in primis linguistica, comunicativa. I sei punti del loro programma risentono di questo atto di nascita, di una nuova comunicazione, di un nuovo modo di rappresentanza, perché se i dati dicono che gli italiani devono rifarsi gli anticorpi, tocca iniziare dalle parole. Come quelle in Piazza Fontana, a Milano. Mentre nel dicembre del 1969 lo Stato spargeva false notizie, attuando una sorta di “revisionismo in diretta”, la cittadinanza, che ancora gli anticorpi li aveva, si rifece con le parole, anzi no, rifece le parole. Le due lapidi dedicate a Giuseppe Pinelli sono solo pietre con incise parole commemorative, come tutte le lapidi. “Ferroviere anarchico innocente morto tragicamente nei locali della Questura”, recita quella ufficiale del Comune; “Ucciso innocente” dice l’altra, firmata dagli “studenti e democratici” milanesi. Parole, solo parole incise nella pietra. Eppure.

Insomma, d’accordo la mitezza, la rivoluzione comunicativa, ma dov’è finita la lotta di classe? Ci vuole – tuonano i sapientoni – la lotta di classe. Senza dubbio, quella è sempre salutare. Il punto è che, a occhio, le Sardine non hanno (ancora) subito né le conseguenze dell’odio di classe dei ricchi, né la violenza feroce delle politiche neoliberiste. Sono precari che (forse) riescono ancora a galleggiare, per questo (forse) il lavoro non c’è né tra i sei punti programmatici diffusi durante la manifestazione a Roma lo scorso 14 dicembre, né nei proclami dei principali portavoce del movimento, Mattia Santori, Lorenzo Donnoli, Joy Jasmine Cristallo e Temiloluwa Olayanju. Si potrebbero fare mille congetture per spiegare perché la rabbia e il lavoro non sembrano toccare le Sardine, più utile e urgente però sarebbe provare a capire perché quelli che per il lavoro (che manca o è indegno) di rabbia ne hanno in abbondanza stanno con Salvini. Questo sì che sarebbe un passo avanti. Invece il plancton, altrimenti conosciuto come intellighenzia di sinistra, preferisce la barricata, in ogni caso. Fa così “duro e puro”, è così charmant. Al di là delle polemiche, tuttavia, il senso del problema di fondo è abbastanza chiaro: se il lavoro non è più l’elemento attorno a cui si forma l’identità delle persone – banalmente perché non c’è, cambia, eccetera –, nessuna delle idee novecentesche ancora a disposizione è utile. Un problema epocale e perciò antropologico, che travalica i confini nazionali. Che la destra, liberale anche quando si professa sovranista, abbia riempito quel vuoto, alcova della sinistra da sempre, rimane un problema epocale e perciò antropologico, cui porre rimedio all’interno dei confini nazionali, e presto.

“Salvini è molto più umano e fragile di quanto sembra, tant’è vero che è stato battuto da quattro ragazzi senza nessuna bestia (ndr: questo il nome dello staff della comunicazione di Salvini)” ha dichiarato Mattia Santori, intervistato da Formigli a Piazza pulita qualche settimana fa. Non stupisce che la loro battaglia si fermi qui, sono, per usare un termine coniato di recente, dei “prosumer”: consumatori di politica ma anche produttori. Cittadini consapevoli che i sondaggi, gli algoritmi e le consultazioni sulle piattaforme sono gli strumenti principali con cui i leader si riposizionano e ci vendono una narrazione il più possibile accondiscendente con le nostre convinzioni, le nostre brutture, le nostre paure.

In questo schema di gioco le Sardine, se non altro, hanno fatto un buco nel velo di Maya, hanno calato le braghe al “Potere”, permettendo a tutti di vedere cosa c’è sotto: niente. Nella sua apparente quanto manifesta sovranità, il potere opera come se esistesse, ma all’interno è vuoto come la torre del Panopticon benthamiano; per esercitarlo, non bisogna mai credere all’esistenza o alla realtà del potere, e infatti Salvini non ci crede. Chiede pieni poteri, si consuma in florilegi in onore di ogni propaggine del potere, Polizia, Carabinieri, Vigili del Fuoco, chiunque, ma è il primo a far fare un giro a suo figlio sulla moto d’acqua della Polizia mentre è in vacanza al mare. Non ci crede, perciò lo esercita così magistralmente, anche, soprattutto, quando (lui o chi per lui) pubblica la foto della Nutella, praticando il regime osceno di visibilità totale, quasi pornografica, squisitamente spiegato da Jean Baudrillard. Pro-ducere significa alla lettera “portare davanti” e, come diceva il filosofo, “produrre è materializzare a forza ciò che è di un altro ordine, dell’ordine del segreto e della seduzione”. Baudrillard aveva visto bene, “è la fine del potere, la fine della strategia del reale”, e lo strumento che elimina definitivamente il reale è la dialettica della seduzione: “la seduzione è più forte del potere”. Più forte della sessualità e del desiderio foucaultiano, più forte di ogni risposta concreta della politica ai problemi concreti della cittadinanza, perché “non è dell’ordine del reale”. Questo, oggi, è il segreto di Salvini, un segreto che tutti i potenti dell’era della virtualità conoscono bene: il potere non esiste. Un segreto che, in assenza di intellettuali come Baudrillard, tocca andare a pescare in fondo al mare, tra le Sardine.

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