di Roberto Finelli
Il tema torna ad essere quello della compresenza in Marx di due definizioni e identificazioni della soggettività storica, che appaiono essere di scarsa compatibilità tra loro. La prima vede coincidere produzione con rivoluzione, nel senso che il soggetto del lavoro è immediatamente il soggetto di una trasformazione storica. Ed è soggetto universale – erede in ciò della filosofia classica tedesca – per questa sua identità di soggetto fabbrile.
Tale carattere “ontologicamente universale del soggetto fabbrile” sta alla base sia della filosofia della storia delineata nel materialismo storico sia della teoria della contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e rapporti sociali di produzione, fino a includere nella sua presupposizione anche la mitologia del General Intellect e del Cervello Sociale depositata nei Grundrisse. A tale teoria fortemente identitaria e antropocentrica della soggettività appartiene non a caso anche la celebrazione del “lavoro vivo” come principio di un vitalismo umanistico non sufficientemente argomentato e come presunta eccedenza originaria e permanente rispetto al rapporto sociale capitalistico.
La seconda teoria della soggettività presente nell’opera di Marx concerne invece il Capitale come Soggetto, ossia la capacità del capitale di realizzarsi come principio di totalizzazione della società contemporanea, nella sua articolazione triplice: 1) di produzione e riproduzione di merci; 2) di produzione e riproduzione di rapporti sociali di diseguaglianza e sfruttamento; 3) di produzione di forme generalizzate della coscienza sociale. Questa nuova teoria del Soggetto implica in Marx il passaggio dal paradigma del lavoro e dell’homo faber al paradigma della forza-lavoro e a una teoria dello sfruttamento, che non ha a che fare né con teorie umanistiche presupposte né con riduzioni possibili alle teorie contemporanee della giustizia.