di Mario Pezzella
Nel corso di scritti e seminari tenuti negli anni dal 1968 in poi, Lacan ha sempre più distinto un “discorso del capitalista” dal tradizionale “discorso del padrone”. Il primo sarebbe caratterizzato da una inedita “ingiunzione al godimento”, caratteristica del capitalismo nella sua fase di dominio della fantasmagoria consumista delle merci, mentre il secondo era ancora dominato dal rapporto servo-signore e dalla lotta per il riconoscimento.
Questa riflessione di Lacan è direttamente condizionata dagli eventi del Sessantotto e dal difficile dialogo con gli studenti in rivolta, i quali, secondo Lacan, avrebbero continuato a ragionare pensando a un “padrone repressivo” nei riguardi del desiderio, piuttosto che a un capitalista produttore di godimento consumistico. Oltre che essere direttamente ispirata dagli eventi degli anni in cui si svolgeva il seminario, tale riflessione permette di avviare una riflessione sulla categoria di “inconscio sociale” (distinguendolo da inconscio personale e collettivo) e del suo attuale rapporto con le forme del capitale.
In tempi come i nostri, dominati dalla categoria economica e morale del debito e della colpa, è ancora attuale e in che misura la riflessione di Lacan sul discorso del capitalista? In che modo altri autori – come ad esempio Žižek – lo hanno utilizzato per riflettere sul volto oscuro e osceno del potere contemporaneo? Si tratta, in altre parole, di riflettere sui differenti “regimi del desiderio” messi in opera dal capitale e sulla possibilità di elaborarne uno – slancio, sogno, utopia – che ad essi si opponga.