di Rino Genovese
Quando si parla degli errori di Marx, ci si riferisce per lo più alle sue previsioni sbagliate: alla teoria dell’impoverimento crescente (smentita dallo sviluppo dei ceti medi e dal relativo benessere che, fin dai primi del Novecento, coinvolse anche la classe operaia), oppure alla presunta legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, che avrebbe dovuto condurre il modo di produzione capitalistico verso la sua crisi risolutiva.
Ma questi “errori” fanno parte in effetti di un unico grande errore compiuto da Marx, quello di avere voluto conferire alla sua critica dell’economia politica lo statuto di una scienza “predittiva” sul modello delle scienze naturali. Al contrario la teoria di Marx s’inserisce, sia pure con un suo alto livello di complessità, in una tradizione che è quella del pensiero utopico. Si tratta allora di ritornare alla radice utopica del socialismo, anziché predicare un “socialismo scientifico”.
Dove la specificità dell’utopia marxiana? Nel momento genuinamente conflittuale, insieme generatore di socialità e d’incessante critica della politica, proprio della sua concezione della lotta di classe (che Marx peraltro sosteneva di non avere scoperto, ritenendo invece che il suo contributo originale consistesse nell’avere individuato nello sbocco rivoluzionario inevitabile il senso storico della lotta di classe stessa).