di Maurizio Ricciardi
La relazione si concentra su alcuni aspetti della semantica del potere in Marx, per vedere se essa possa ancora stabilire la base per una analisi delle forme storiche e quindi anche contemporanee di subordinazione politica e sociale. L’intento è mostrare che esiste in Marx una specifica analisi del potere e della sua possibile dissoluzione, che mostra elementi di validità anche nell’epoca del neoliberalismo.
All’interno della distinzione tra potere e dominio che è già centrale nel Manifesto, Marx individua una specifica tensione tra il potere politico e quello sociale che mostra la sostanziale insufficienza del primo. Ciò coinvolge ovviamente il giudizio marxiano sullo Stato, sulla sua funzione storica e sulla sua possibilità concreta di modificare realmente il rapporto di capitale.
Più che la conquista dello Stato, Marx indica la necessità della gestione del potere politico per distruggere il dominio sociale. Quest’ultimo si manifesta già nella sfera della circolazione, che è dunque tutt’altro che un universo di libere relazioni contrattuali, ma è organizzata attorno alla potenza sociale del denaro, della tradizione e dell’ideologia.
Nella sfera della produzione il capitale può presentarsi nella sua forma dispotica, ovvero come un dominio incontrollabile dagli individui. Un dominio che non è esercitato solo sui singoli, ma anche e soprattutto sulla cooperazione che li connette. Un dominio al quale tutti sono sottoposti anche se va a vantaggio solo di alcuni. Questa ricognizione parziale del linguaggio marxiano del potere, che rimanda anche a dittatura, comando, governo, è dominata comunque dall’idea del carattere provvisorio del potere che ha necessariamente il potere operaio, come viene chiaramente detto nel Manifesto: «Di tanto in tanto gli operai vincono, ma solo temporaneamente».