di Luca Lenzini
Ma non così, e soprattutto: non proprio ora!… Ora, che per una volta il disco rotto della storia italiana sembrava ricominciare con una musica tutta nuova, un soundtrack strano e sublime per scenari inediti e neanche visitati in sogno: come in certi filmati di grandi tornado in terre lontane, quando tetti di case, auto e ramaglie volano via vorticando in spirali di vento rapinoso e indomabile, così pareva accadere ai discorsi dei politologi di razza, ai moniti degli insigni costituzionalisti, ai sermoni di Scalfari e alle imitazioni di Crozza: tutti scaraventati di qua e di là, in frantumi, polverizzati, stravolti, insieme ai resti di Fazio e di Vespa, agli assegni delle Olgettine e ai flyers della Leopolda… Tutto oscillava, nulla reggeva durante gli Indimenticabili Ottantanove. Qualcosa di arcaico e anteriore attraversava il paese; in uno sciame mai visto di pixel si annunciava un futuro inconoscibile, forse insostenibile ma dai riflessi così abbaglianti, così stupefacenti che d’un tratto sembrarono ridestarsi spettri dimenticati, dormienti da secoli, invendicati e irredenti. Il passato prossimo diventava remoto a velocità impressionante. Dai tetti del Quirinale e dai recessi del Parlamento fino alle più sperdute sagre della provincia viaggiavano messaggi e post che aizzavano le piazze, i Corazzieri sparivano dal set della Crisi e come in un film di Buñuel nei palazzi romani altezzosi ministri di dubbia fama, gran dame dai cognomi plurimi e tecnici di alta scuola entravano e uscivano da porte secondarie e da scuderie dismesse.
Nessuno ci capiva più niente e mentre nello stallo pressoché metafisico in cui ricadeva la Penisola a Berlusconi riusciva la gag più fantastica, improvvisamente Mieli e Cacciari, Travaglio e Sallusti si trovavano d’accordo: nulla era più come prima. Tutto stava cambiando. Destra e sinistra non volevano davvero dire più nulla, nemmeno per chi cercasse una via d’uscita o soltanto la toilette. Ed ecco lo spread che risaliva minacciosamente e dalle coste adriatiche, anzi fin dai crinali appenninici si cominciava a scorgere, mai così vicino e così stranamente familiare, il profilo dell’Ellade; sì, d’accordo, ma intanto era come quando si spalancano porte e finestre e l’aria fresca del nuovo mattino invade stanze chiuse da tempo immemorabile, ammuffite e stantie….
Ma è bastato poco, quasi niente perché i crateri appena intravisti nel paesaggio si richiudessero e il vento indomabile diventasse un ponentino lieve e persino conciliante nella sera dei colli fatali. Come sia successo, nessuno lo sa spiegare fino in fondo. Qualcuno se la prese con il Presidente, come chi per disperazione o avendo perso la trebisonda spara in alto, per fare almeno un po’ di rumore. Ma Freccero, lui aveva già capito tutto (tra Situazionismo e Opportunismo il passo è breve, o meglio non c’è gap per niente) e guardate la Jaguar del Premier nuovo di zecca, come fila veloce e tranquilla lungo l’A1. E i palinsesti già si riassestano, cala lo share delle news, i graffiti appena nati sono cancellati nelle strade con le stesse buche di prima, nei talk show ognuno dirà la sua e presto sarà la volta dello Spoil System. Il futuro di nuovo assomiglia al passato e l’invenzione del popolo torna ad essere quel che è stata sempre, una trovata da magnaccia per raggirare la gente e farla marciare compatta contro i propri stessi interessi, verso una brutta fine spacciata per nuovo inizio. E così, ecco un’altra tarda primavera italiana, con i genitori che lasciano morire i figli nelle auto parcheggiate al sole, i migranti che vanno a fondo nel mare delle vacanze, gli spiritosi come al solito in prima fila, pronti con le nuove battute. Di nuovo e sempre.
È andata proprio così e non fate finta di niente. Non convincetevi di aver sognato di sognare un sogno in stile Weimar. Eppure quel che nei Gloriosi Ottantanove è apparso inusitato e precipite, era incubato da tempo. È per questo che non bisogna dar retta a chi dice che il cattivo odore c’è sempre stato. Gli antichi spettri prima o poi torneranno per vendicarsi, ma per ora l’aria del tempo è irrespirabile e tocca a noi respirarla. C’è un cadavere da qualche parte, nel bagagliaio o nella stiva, in cantina o nel container arrugginito che da tanto tempo è in fondo al piazzale. È qualcosa di putrefatto ed è da lì che emana questo tanfo e si chiama Democrazia.